A TUTTI GLI STUDENTI DI ITALIANDO PASSATI, PRESENTI E FUTURI I MIGLIORI AUGURI DI BUONE FESTE.
CON AFFETTO.
NICCA VIGNOTTO
Translate
sabato 28 dicembre 2013
venerdì 13 dicembre 2013
Natale italiano: panettone o pandoro
Siamo il 14 di dicembre mancano
solo dieci giorni a Natale e i preparativi fervono. Fra le mille ricette
regionali e tradizionali per un Natale tutto italiano non possono mancare a
fine pasto i classici dolci natalizi: il panettone e il
pandoro. Ma quale dei due è il
piú amato dagli italiani? Difficile rispondere a questa domanda certamente
dipende molto dalle tradizioni di ogni famiglia. In casa mia il protagonista è
sicuramente il pandoro.
Storia del panettone
L'origine
del panettone è milanese. Nel '600 aveva la forma di una rozza focaccia, fatta
di farina di grano e chicchi d'uva. Nell' 800 il panettone era una specie di
pane di farina di grano arricchito con uova, zucchero, uva passa. L’uva passa
aveva una funzione propiziatoria di ricchezza e denaro.
Ci
sono varie leggende legate alla storia del panettone.
Una
prima leggenda ambientata a fine '400, narra di Ughetto figlio del condottiero Giacometto
degli Atellani si innamorò della bella e giovane Adalgisa. Per star vicino alla
sua amata egli s'improvvisò pasticcere come il padre di lei, tal Toni, creando
un pane ricco, aggiungendo alla farina e al lievito, burro, uova, zucchero,
cedro e aranci canditi. Erano i tempi di Ludovico il Moro, e la moglie duchessa
Beatrice vista questa grande passione del giovane, aiutata dei padri Domenicani
e da Leonardo da Vinci, si impegnò a convincere Giacometto degli Atellani a far
sposare il figlio con la popolana. Il dolce frutto di tale amore divenne un
successo senza precedenti, e la gente venne da ogni contrada per comprare e
gustare il "Pan del Ton".
Narra una seconda leggenda che per la vigilia di Natale, alla corte del duca Ludovico, era stata predisposta la preparazione di un dolce particolare. Purtroppo durante la cottura questo pane a cupola contenente acini d'uva si bruciò, gettando il cuoco nella disperazione. Fra imprecazioni e urla, si levò la voce di uno sguattero, che si chiamava Toni, il quale consigliò di servire lo stesso il dolce, giustificandolo come una specialità con la crosta. Quando la ricetta inconsueta venne presentata agli invitati fu accolta da fragorosi applausi, e dopo l'assaggio un coro di lodi si levò da tutta la tavolata; era nato il "pan del Toni".
Uno degli artefici del panettone moderno è stato Paolo Biffi, che curò un enorme dolce per Pio IX al quale lo spedì con una carrozza speciale nel 1847. La nascita e lo sviluppo della forma e della confezione attuale del panettone sono databili alla prima metà del '900, quando Angelo Motta propose il cupolone e il "pirottino" di carta da forno, quasi a celebrare la crescita e l'importanza del preparato.
Storia del pandoro Questa è invece una golosità tipica di Verona, delicata, soffice, che ha trovato un
posto d'onore nelle tavole natalizie italiane. Anche la sua storia è ricca di
aneddoti e leggende. L'attuale versione del pandoro risale all ‘800 come
evoluzione del"nadalin", il duecentesco dolce della città di
Verona a forma di stella che per tradizione le famiglie veronesi preparavano
per Natale. Nel 1260 per festeggiare il primo Natale dopo l’investitura dei
nobili Della Scala a Signori di Verona si creó
inizialmenteun dolce costituito da un tronco a stella con 8 punte e non
troppo alto ricoperto da una glassa. Intorno alla fine dell’Ottocento,
il dolce cambiò forma, venne alzato, le punte ridotte a 5 e la glassa
eliminata.
Storia del pandoro Questa è invece una golosità tipica di Verona, delicata, soffice, che ha trovato un posto d'onore nelle tavole natalizie italiane. Anche la sua storia è ricca di aneddoti e leggende. L'attuale versione del pandoro risale all ‘800 come evoluzione del"nadalin", il duecentesco dolce della città di Verona a forma di stella che per tradizione le famiglie veronesi preparavano per Natale. Nel 1260 per festeggiare il primo Natale dopo l’investitura dei nobili Della Scala a Signori di Verona si creó inizialmenteun dolce costituito da un tronco a stella con 8 punte e non troppo alto ricoperto da una glassa. Intorno alla fine dell’Ottocento, il dolce cambiò forma, venne alzato, le punte ridotte a 5 e la glassa eliminata.
Il
suo nome e alcune delle sue peculiarità risalirebbero invece ai tempi della
Repubblica Veneziana dove sembra che fra l'offerta molto diffusa di cibi
ricoperti con sottili foglie d'oro zecchino, ci fosse anche un dolce a forma
conica chiamato "pan de oro".
Un'altra
storia assegna la maternità del pandoro in Austria ai tempi dell’impero
Asburgico, dove si produceva il cosiddetto “Pane di Vienna”,
probabilmente derivato a sua volta dalle brioches francesi. Fin dal ‘700/’800,
infatti la tecnica per ottenere questo pane era molto conosciuta, la sua
lavorazione prevedeva di completare l’impasto aggiungendo una maggiore dose di
burro (come si fa per la pasta sfoglia) con il risultato che, durante la
cottura il dolce acquisti volume. Da non dimenticare che la famosa brioche
francese per secoli ha rappresentato il dessert preferito della corte dei dogi
In
ogni caso, qualunque sia stata la sua origine, nel 1894 fu brevettata la
ricetta da Domenico Melegatti mentre lo stampo fu disegnato dal pittore
impressionista Angelo Dell’Oca Bianca, che lo disegnò con il corpo a forma di
stella a 8 punte.
Una
cosa è abbastanza certa: il nome Pandoro deriva proprio dal colore dorato di
questo dolce, dato dalla presenza, nell’impasto, di una gran quantità di uova.
Fra gli ingredienti del pandoro si
annoverano: farina, zucchero, uova, lievito, burro e burro di cacao.La ricetta
originale del pandoro non prevede che questo venga guarnito internamente con
creme o canditi, il pandoro originale è quello senza farcitura ricoperto solo
da uno strato di zucchero a velo. Semplicemente inimitabile!
venerdì 6 dicembre 2013
Un libro italiano per Natale
Se state cercando
un bel libro da regalare o da farvi regalare per Natale, vi consiglio un libro
italiano intitolato L’amica geniale, scritto dalla scrittrice Elena
Ferrante.Il romanzo che è
stato tradotto in olandese da Marijke van Laake è uscito in edizione
Paperback lo scorso agosto sotto il titolo di De geniale vriendin.
Elena Ferrante è
lo pseudonimo di una scrittrice o di uno scrittore di cui si ignora la vera
identità. Di lei si sa solo che sarebbe nata a Napoli, città che avrebbe
abbandonato presto per vivere a lungo all’estero. La scrittrice parla
della scelta dell’anonimato come del desiderio di autoconservazione a salvaguradia del proprio
privato. Infatti, la scrittrice è fermamente convinta che i suoi libri non
necessitino di una sua foto in copertina, né di presentazioni promozionali perché queste non aggiungerebbe loro
mai niente di decisivo.
“L’amica
geniale” è un romanzo affascinanate
e si vorrebbe che non finisse mai. E infatti non finisce poiché è il primo di
una trilogia che qui porta a compimento la narrazione dell’infanzia e
dell’adolescenza di Lia ed Elena e ci lascia di fronte a nuovi grandi mutamenti
che stanno per sconvolgere le loro vite e la loro amicizia.
La trama: a Torino, dove abita Elena , arriva una
telefonata da parte del figlio quarantenne di Lila, preoccupato per la
scomparsa della madre che non ha lasciato nessuna traccia di sé. Elena capisce
immediatamente che la scomparsa dell’amica è voluta e questa è l’occasione per
lei di ritovare la memoria lontana della loro amicizia. Decide di mettersi al
computer e inizia a raccontare la storia della sua amicizia con Lila. Siamo a
Napoli negli anni cinquanta: in un povero quartiere, abitato da fascisti e
monarchici oltre che da piccoli teppisti e ignoranti arricchiti e sullosfondo
c’è l’ombra della camorra. I giovani che vivono qui cercano di superare le
divisioni fra famiglie, di uscire dal quartiere e di affrancarsi da un destino
segnato. Nello svolgersi della narrazione si seguono le storie delle diverse
famiglie contrassegnate da amori, passioni, odi vendette e vita di vicinato. Ma
al centro di tutto c’è sempre la profonda amicizia fra due bambine prima e adolescenti
poi. Lila è povera e magra, figlia di uno scarparo possiede una intelligenza
rara e precoce, è la piú brava a scuola e la piú cattiva con i maschi e le
compagne. È molto invidiata dall’amica del cuore Elena, figlia di un usciere
comunale, diligente e studiosa, che riuscirá ad approdare con molti sacrifici e
ore di studio al liceo classico.
La scrittrice
scava a fondo la psicologia delle due bambine che crescono, che scoprono
l’amore, le buone letture, la politica, la morale, le rivalitá, le incomprensioni
e le separazioni. La loro amicizia si rivela, nel corso degli anni, sempre piú
solida, anzi trae alimento dalle reciproche differenze e dai diversi percorsi
individuali.
Elena ha la
possibilitá di affrancarsi dal ristretto orizzonte del quartiere dove è nata
con lo studio e la frequentazione delle scuole medie e del liceo. Lila invece
abbandona gli studi prima per inseguire il sogno della fabbricazione di scarpe
artigianali di pregio e poi per finire sposa a sedici anni con il salumiere del
quartiere in cui abita. Il romanzo finisce qui e ci rendiamo conto che per
arrivare alla conclusione che è l’inizio del racconto mancano esattamente
cinquanta anni. Aspettando il seguito sorge peró spontanea una domanda: ma
chi davvero fra le due è l’amica geniale?
( Fonte: InternetCorriere)
giovedì 21 novembre 2013
21 Novembre Festa della Salute a Venezia
La Festa della
Salute è sicuramente tra le feste veneziane quella dall'impatto meno
"turistico", tradizione che evoca un sincero sentimento religioso popolare.
A tutt'oggi, il 21 novembre, migliaia di persone percorrono il ponte votivo di
barche eretto per l’occasione sul Canal Garande che unisce Santa Maria del
Giglio alla punta della Dogana e vanno in pellegrinaggio alla chiesa della
Salute a rendere omaggio alla Madonna e ad accendere un cero affinché interceda
per la loro salute.
Sfilando in
migliaia davanti all'altare maggiore dell'imponente Chiesa della Salute i
veneziani perpetuano il secolare vincolo di gratitudine che lega la città alla
Vergine Maria. Durante tutta la giornata, nella basilica, tenuta aperta senza
interruzione, vengono celebrate in continuazione messe e rosari, con un
afflusso continuo di fedeli.
La storia
Nel 1630 la peste
bubbonica si abbatte su tutto il nord Italia e anche su Venezia. Il doge fa
voto di erigere una chiesa intitolata alla Salute, chiedendo l'intercessione
della Vergine Maria per porre fine alla pestilenza. Il contagio della peste si
estende a Venezia in seguito all'arrivo di alcuni ambasciatori di Mantova, città
già molto colpita dall'epidemia, inviati a chiedere aiuti alla
Repubblica di Venezia. Gli ambasciatori vengono alloggiati in quarantena
nell'isola di San Servolo, ma nonostante questa precauzione alcuni falegnami
entrati in contatto con gli ospiti subiscono il contagio e diffondono il morbo
nell'area cittadina. L'epidemia è
particolarmente virulenta: nel giro di poche settimane l'intera città
viene colpita, con pesanti perdite tra gli abitanti e ne sono vittime lo stesso
doge Nicolò Contarini e il patriarca Giovanni Tiepolo. Nel momento culminante
dell'epidemia, in assenza di altre soluzioni, il governo della Repubblica
organizza una processione di preghiera alla Madonna, a cui partecipa per tre
giorni e per tre notti tutta la popolazione superstite. Il 22 ottobre 1630
il doge fa voto solenne di erigere un tempio votivo particolarmente grandioso e
solenne se la città fosse sopravvissuta al morbo.
Poche settimane
dopo la processione, l'epidemia subisce prima un brusco rallentamento per poi
lentamente regredire fino a estinguersi definitivamente nel novembre 1631. Il
bilancio finale è stimato in quasi
47.000 morti nella sola cittá di Venezia (oltre un quarto della popolazione) e
quasi 100.000 nel territorio del Dogado. Il governo decreta allora di
ripetere ogni anno, in segno di ringraziamento, la processione in onore della
Madonna denominata da allora della "Salute"e di erigere una basilica
in onore della Madonna.
La posizione per
la nuova basilica doveva essere una zona di primo piano, con vista sul Bacino
di San Marco. Vince il progetto dell'architetto Baldassare Longhena che
progetta la costruzione di un tempio barocco a struttura ottagonale sormontato
da un'imponente cupola. Opera gigantesca per l’epoca basti pensare che la
basilica poggia su più di 1 milione di
tronchi di legno. La costruzione
dura 56 anni ed infine la Basilica della Madonna della Salute
viene consacrata il 9 novembre 1687, il doge Marcantonio
Giustinian farà solenne giuramento che la Signoria avrebbe fatto visita al
sacro tempio il 21 novembre di ogni anno
Si tratta di una chiesa a pianta ottagonale, con una facciata
strutturata nelle famose sculture chiamate orecchioni, che ricordano appunto
delle orecchie enormi, che contribuiscono a bilanciare l'enorme colpo visivo della
cupola. Solo nella ricorrenza del 21 novembre tutti gli otto altari nelle loro
nicchie sono aperti al pubblico e quindi visitabili. L'altare centrale della Basilica di Santa Maria della
Salute, custodisce un’icona bizantina di una Madonna nera. È la Madonna della
Salute o Mesopanditissa, che proviene dall'Isola di Creta e che fu portata a
Venezia da Francesco Morosini nel 1670, quando i veneziani dovettero cedere
l'isola ai Turchi.
Oltre alla
tradizionale processione e alla messa è tradizione nel giorno della festa della
Salute, mangiare una pietanza a base di carne, la cosiddetta "castradina”.
La castradina sembra derivare dalle ricette della costa dalmata che era allora
parte della Repubblica di Venezia, ed è composta da carne di montone e verze in
brodo, timo e cipolle. Una nota su questo piatto di Elio Zorzi tratta dal suo
libro Osterie Veneziane del 1928 ci dice che la denominazione sembra risalire
all'anno 1173 come Sicce carnis de Romania et Sciavinia. In origine, era
solo la carne di montone salato e poi affumicata ed essiccata al sole e
conservata nelle navi mercantili, per nutrire i marinai veneziani che
attraversano il Mediterraneo e che viaggiavano verso paesi lontani. Si tratta di un cosciotto di montone salato, affumicato e
stagionato la cui preparazione è molto
lunga.
Ricetta:
Procurati la carne (le macellerie, i “becheri” a Venezia, da qualche anno, hanno ricominciato a venderla), mettila in acqua ballente e lascia che si raffreddi, quindi cambia l’acqua e falla nuovamente bollire e poi raffreddare. Continua così per 4/5 volte (ci vorrà un giorno intero, ma è indispensabile per togliere il forte sapore dell’affumicatura, la salatura e per far “rinvenire” la carne). A questo punto falla bollire per un paio d’ore in un brodo di cipolla, sedano, carota, alloro e bacche di ginepro. Lascia raffreddare e togli con cura tutto il grasso rappreso in superficie. Rimetti la pentola sul fuoco aggiungendo abbondante cavolo verzotto tagliato à la julienne, cuoci senza fretta, fino a quando le verze saranno ben cotte e la carne tenera.
Ricetta:
Procurati la carne (le macellerie, i “becheri” a Venezia, da qualche anno, hanno ricominciato a venderla), mettila in acqua ballente e lascia che si raffreddi, quindi cambia l’acqua e falla nuovamente bollire e poi raffreddare. Continua così per 4/5 volte (ci vorrà un giorno intero, ma è indispensabile per togliere il forte sapore dell’affumicatura, la salatura e per far “rinvenire” la carne). A questo punto falla bollire per un paio d’ore in un brodo di cipolla, sedano, carota, alloro e bacche di ginepro. Lascia raffreddare e togli con cura tutto il grasso rappreso in superficie. Rimetti la pentola sul fuoco aggiungendo abbondante cavolo verzotto tagliato à la julienne, cuoci senza fretta, fino a quando le verze saranno ben cotte e la carne tenera.
Visto che il 21
novembre oltre alla Madonna della Salute si festeggiava anche il compleanno di
mio padre questa festa nella mia famiglia è sempre stata molto sentita.. Nei
miei ricordi in questa giornata che tradizionalmente era nebbiosa, fredda e a
volte con acqua alta, fin dal mattino presto si assisteva ad una lenta e
continua processione di fedeli che attraversando il ponte votivo giungevano
alla basilica. Tutto intorno era pieno di bancarelle dove si vendevano le tradizionali
candele votive lunghe e fini da accendere in basilica in onore della Madonna.
Inoltre, sempre ai piedi della basilica, ovunque erano presenti le bancarelle
con i dolci tipici, torrone e frittelle il cui indimenticabile odore ti seguiva
e ti rimaneva nel naso durante tutto il giorno. Dopo una lunga fila in attesa
di poter entrare, all’ingresso in basilica l’altro odore tipico che ti assaliva
fortissimo era quello dell’ incenso. Entrando l’aria era densa e surreale e
l’imponente Madonna mi abbracciava nella sua bellezza. Da bambina quello che
piú mi abbagliava di quella splendida icona erano quelle incredibili collane
d’oro, scintillanti da cui non potevo staccare gli occhi e poi naturalmente il
premio finale dopo ore di cammino, di preghiera e di attesa: una fragrante
pastina piena di crema e zucchero a velo! Che meravigliosi ricordi. Ecco di seguito un piccolo video dell'occasione per ricavarne alcune impressioni:
martedì 19 novembre 2013
La grande bellezza nei cinema olandesi
Lo scorso mercoledí
6 novembre all’EYE Instituut di Amsterdam è andato in premiere La Grande
Bellezza il nuovo film di Paolo Sorrentino. Presentato in anteprima al
Festival di Cannes di quest'anno questo film ha segnato il grande ritorno
dell'autore a una produzione italiana. La pellicola, accolta da lunghi
applausi, ma anche contestata dalla stampa francese, ha l'ambizione o la
presunzione, di dire qualcosa di significativo sullo stato attuale dell’Italia,
sopratutto sulla sua decadenza. Molti hanno implicitamente fatto un paragone
tra questo film e La dolce vita
e 8½ di Fellini vedendo in tutte queste pellicole
il tentativo di far rivivere la magia felliniana di una Roma
contesa fra l’eterno della bellezza e l’effimero grottesco degli uomini.
La Grande
Bellezza di Sorrentino ha diviso pubblico e critica, ricevendo consensi e
critiche. Il regista
si misura con un soggetto molto complesso cercando di raccontare il vuoto di
valori dell’Italia contemporanea e in particolare di un ambiente alto borghese
romano frequentato da personaggi in cerca di affermazione, ma costantemente
incapaci di sottrarsi al fuoco fatuo della mondanità.
Il personaggio principale, interpretato da Toni Servillo, è
Jep
Gambardella, un giornalista con aspirazioni di scrittore naufragate
in un unico tentativo letterario di molti anni prima. A Roma diventa il
protagonista della mondanità, perdendosi in un labirinto di umanità incompiute
e false che anestetizzano la propria desolazione attraverso uno stile di vita
senza pensiero e senza scopo. Molti gli chiedono
perché non abbia più pubblicato romanzi e nel corso del film la risposta prende
corpo: il tentativo di trovare la grande bellezza della vita, il significato
più elevato dell’esperienza, è fallito nel vortice immobile di una società che
divora ogni senso profondo temendo che da esso possa derivare un doloroso
confronto con il vuoto dell’immagine. Il romanzo pubblicato ormai una vita fa,
fa attraversare al sessantenne giornalista viveur, mondano di professione una
esistenza con lo sguardo di chi ha visto tutto, stanco e cinico. In questo film
per Paolo Sorrentino,
più che la storia sembrano contare le suggestioni fatte di immagini.
In questa
corruzione fisica e morale fanno da contrasto degli scorci mozzafiato di una
Roma notturna e segreta, o soleggiata e monumentale, la visione di una suora
intenta a raccogliere arance, il sorriso di una ragazzina, un incontro
imprevisto con una donna di classe o la scoperta dell'esistenza di "due
brave persone". Sono le piccole
epifanie che bilanciano l'inerzia con cui va avanti Jep in un mondo che
prolifera sulle proprie rovine, in cui le velleità artistiche nascondono
incapacità e mancanza di talento.
Purtroppo in
questo film è presente una ridondanza dicontenuto, che si protrae in assenza di
un’autentica trama e piuttosto si affida a una sequela a volte estenuante di
frammenti sempre uguali, riempiti da individui che replicano se stessi nel
compimento di azioni patetiche, bizzarre, amorali.
(fonte internet spettacoli blogosfere)
domenica 10 novembre 2013
Dalston Anatomy, di Lorenzo Vitturi dal 8 novembre - 11 dicembre 2013 Amsterdam
Lorenzo Vitturi è
un fotografo italiano che vive e lavora tra Londra, Milano e Venezia. Nato a
Venezia nel 1980 è considerato uno dei giovani fotografi italiani di massimo
talento. Dopo la laurea in fotografia e design allo IED di Roma (2004), egli ha
ricevuto una borsa di studio presso il Centro di ricerca in comunicazione
Benetton, Fabrica, dove è rimasto per due anni dal 2005 al 2007. Ha iniziato la
sua carriera artistica come scenografo nell'industria del cinema a Roma e ha
portato questa esperienza nei suoi progetti fotografici che ruotano intorno a
installazioni site-specific che utilizzano lo spazio, la luce e la materia.
Egli usa la fotografia per impostare le scene di pensieri e idee attraverso la
manipolazione dello spazio, seguendo i suoi progetti dall'ideazione creativa
alla realizzazione.
Vitturi ha appena
pubblicato il suo libro Dalston Anatomy ( JibiJana & SPBH
edizioni), un libro fotografico che diventerá presto un classico. E proprio su
questo libro è basata la mostra che si è inaugurata ad Amsterdam il 7 novembre
presso Foam. La mostra intitolata Anatomia
Dalston è un'ode ai piaceri sensuali della vivace Ridley Road Market di
Londra . "Il mercato è un luogo unico dove si può arrivare a capire la
gente di Dalston a Hackney. Tutto l’insieme fa di questo luogo qualcosa di
speciale”, afferma Vitturi. Il suo studio si trova proprio vicino a questo
vivace e caleidoscopico mercato. Il fotografo ha trascorso moltissimo tempo a
Dalston Market per scattare foto, fare sculture e creare dei collage con
materiali e oggetti che trovava tra i rimasugli delle bancarelle. Vitturi
visitando le bancarelle del mercato ha trovato parti di materia organica e
inorganica, cibo tessuti , carne , detriti, e pigmenti. Ha riorganizzato la loro
forma, dipinto alcune parti e ne ha creato oggetti colorati e del tutto
speciali. Giocando con la combinazione tra illusione e realtà, mescolando
insieme diversi mezzi come la fotografia, la scultura, la pittura e il collage
è riuscito a costruire degli insiemi estemporanei. Vitturi utilizza qualsiasi
tipo di materiale per indagare l'effetto del tempo che passa e per catturare
l’attimo prima della sua trasformazione e il suo definitivo deperimento.
Le “sculture di
fortuna” che egli crea imitano la natura organica e temporanea del mercato, e
le fotografie delle stesse è il suo
modo di documentare il tempo che passa prima che le stesse muoiano
definitivamente. Nelle foto si vede una cacofonia di consistenza e colore: afro
e trecce, frutta, carne di maiale, pesce e palloncini, vernice brillante e
teloni utilizzati dalle bancarelle. Vitturi si concentra sul linguaggio
astratto ma universale di forme, colori e composizione .
L' inaugurazione della mostra Dalston Anatomy in presenza dell'artista è avvenuta giovedi 7 novembre.Questa mostra è stata realizzata in stretta collaborazione con la curatrice Francesca Seravalle. (Fonte Foam Press Release)
Dalston Anatomy ,
di Lorenzo Vitturi dal 8 novembre - 11 dicembre 2013
presso Foam
Keizersgracht 609
1017 DS Amsterdam
telefono + 31 (0)20 5516500
Orario di apertura tutti i giorni 10:00-06:00 , gio / ven 10:00-09:00 .
Biglietti: € 8,751017 DS Amsterdam
telefono + 31 (0)20 5516500
giovedì 7 novembre 2013
Bellas Mariposas 8 novembre Filmhuis a Purmerend
Bellas
mariposas è un film
italiano del regista sardo Salvatore Mereu che è uscito nei cinema
italiani nel maggio del 2013.
La trama:
Caterina ha
dodici anni, tanti fratelli e un padre nullafacente. Vive alla periferia di
Cagliari, ma vorrebbe fuggire: sogna di fare la cantante, non vuole finire come
sua sorella Mandarina, rimasta incinta a tredici anni, o come Samantha, la
ragazza oggetto del quartiere. Solo Gigi, un vicino di casa, merita il suo
amore. Ma oggi, 3 agosto, la vita di Gigi è in pericolo: Tonio, uno dei
fratelli di Caterina, vuole ucciderlo. Intanto lei trascorre con Luna, la sua
migliore amica, il giorno più lungo della loro vita, tra il quartiere, il mare
e le strade del centro. Quando scende la sera, tutto sembra perduto, ma dal
nulla compare una bellissima donna: la coga Aleni, una strega che può leggere
il futuro delle persone.
Il film è tratto dal racconto omonimo di Sergio Atzeni, scritto popolarissimo
in Sardegna. Si tratta di una commedia agra che racconta con un’originalità,
una freschezza e una libertà rare nel nostro cinema la giornata d’agosto di una
dodicenne che vive in questa brutta periferia cagliaritana, con un padre poco
di buono, una madre onesta e tanti fratelli e sorelle divisi tra chi ha preso
dal papà e chi della mamma. Una giornata trascorsa con la sua migliore amica
nel tentativo di salvare dalle ire di un fratello maggiore il ragazzino di cui
è innamorata, e nel corso della quale crescerà e troverà nuovo senso e
definizione del concetto di famiglia.
Il film e’stato girato
in quel quartiere difficile di Cagliari che è Sant’Elia grazie alla attività
d’insegnante del regista stesso In precedenza Mereu aveva girato un film
scolastico con i ragazzi locali proprio in quei luoghi e grazie a
quell’esperienza precedente lì come un intruso scomodo, ma il regista è stato
accolto come l’insegnante dei loro figli. Nelle scuole ha trovato prima le due
attrici protagoniste, e poi ho costruito attorno a loro tutto il cast.
Bellas Mariposas
è il racconto di una realtà terribile e degradata, ma con uno sguardo e dei
toni lievi, ironici e ottimisti. E’ un film solare e vibrante, energetico e
pieno di vita, capace di raccontare lo squallore e le bruttezze del mondo senza
farsene assorbire, ma considerandoli solo come dati oggettivi cui fanno da
contrasto le piccole, grandi gioie delle vita dalle quali la piccola Caterina
si aggrappa senza disperazione né revanscismi, ma con leggerezza e freschezza,
con spirito sereno, amaro solo nel retrogusto.
In questo film il
brutto e il bello vengono mostrati senza moralismi né estetizzazioni, con la
purezza non più ingenua di una preadolescente che della vita già sa tutto, ma
che la sua deve e può ancora costruirla come meglio crede. Guardando Bellas
mariposas si rabbrividisce e al tempo stesso si ride.
Bellas
Mariposas
Fumhuis
Purmerend Venerdí 8 Novembre ore 20.30
martedì 5 novembre 2013
Napoli
cittá dai mille colori, odori e sapori, cittá unica, magica.
La sua cucina ha antichissime radici storiche che
risalgono al periodo greco-romano, e si è arricchita nei secoli con l'influsso
delle differenti culture che si sono susseguite durante le varie dominazioni
della città e del territorio circostante. Importantissimo peró è stato
l'apporto della fantasia e creatività della sua gente. A seguito delle varie
dominazioni, principalmente quella francese e quella spagnola, si è delineata
la separazione tra una cucina aristocratica ed una popolare. La prima,
caratterizzata da piatti elaborati e di ispirazione internazionale, sostanziosi
e preparati con ingredienti ricchi, come i timballi o il sartù di riso, mentre
la seconda legata ad ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure, come la
popolarissima pasta e ceci. A seguito delle rielaborazioni avvenute durante i
secoli, e della contaminazione con la cultura culinaria più nobile, la cucina
napoletana possiede ora una gamma vastissima di pietanze, tra le quali spesso
anche quelle preparate con gli ingredienti più semplici risultano estremamente
raffinate.
La pasta
Esiste una grande varietà di pasta napoletana.
Nella cucina locale è molto più diffusa la pasta di semola di grano duro, di
produzione industriale. La produzione su larga scala della pasta nel napoletano
risale almeno al XVI secolo, quando a Gragnano si trovarono le condizioni
ideali per essiccarla e conservarla. A Napoli sono considerati molto importanti
anche i tempi di cottura della pasta, che deve essere ben "al dente",
in particolare se deve essere successivamente mantecata in padella. Tra le
varietà più diffuse vi sono, oltre a quelle più classiche, come spaghetti,
linguine e bucatini, anche i formati tipici locali, come i paccheri e gli ziti,
che tradizionalmente vengono spezzati a mano, prima di essere cotti e conditi
con il ragù. Per la preparazione di pasta con i legumi viene usata anche la pasta
mista (pasta ammescata), una volta venduta a prezzo più basso perché
risultante dai rimasugli spezzati degli altri formati, ma oggi venduta come un
formato a sé stante. Da non trascurare sono gli gnocchi, preparati con farina e
patate. Vi sono anche formati meno tradizionali, ma oggi molto diffusi, tra i
quali gli scialatielli.
Due piatti tipici della cucina napoletana sono la parmigiana
di melanzane, preparata con fette di melanzane fritte e disposte a
strati con salsa di pomodoro, fiordilatte e basilico e cotte al forno e il gattò di patate, pasticcio di
patate macinate mescolate con salumi e formaggi, cotto a forno. Interessante è
che il gattò fu inventato in occasione delle nozze della regina Maria Carolina,
figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone, nel 1768.
Tra i prodotti più tipici vanno ricordati i friarielli,
la scarola liscia o riccia, diverse varietà di broccoli, la verza, le verdure
da minestra e le puntarelle. Diffusissimi sono tutti i tipi di legumi.
Le zucchine sono ampiamente utilizzate; le più grandi vanno preparate a
scapece, fritte e condite con l'aceto e la menta. I fiori maschili delle
zucchine vengono preparati fritti in pastella. I germogli raccolti dalle piante
di zucchine in tarda estate, dopo la fase di produzione, vengono chiamati talli,
e sono ingredienti di ottime zuppe oppure vanno soffritti in padella. Oltre ai
normali peperoni di grosse dimensioni, rossi e gialli, tipici sono i
peperoncini verdi dolci, che si preparano fritti. I carciofi più pregiati
sono le cosiddette mammarelle, grandi, tondeggianti e con le estremità
delle foglie violacee. Sono ideali per essere gustate semplicemente lesse con
un pinzimonio di olio extravergine di oliva e sale.
Pesce
Tutto il pesce del Tirreno è abbondantemente
presente nella cucina napoletana. Molto apprezzati sono anche i pesci meno
pregiati e più economici, tra i quali soprattutto le alici ed il pesce azzurro
in generale. Ottimo è il pesce per la zuppa: scorfani, tracine, cuocci,
così come pesci di media e grande taglia, tra i quali spigole e orate. Molto
diffusi sono anche i pesci di piccolissimo taglio: i cicenielli,
novellame di pesce azzurro, piccolissimi e trasparenti, cotti lessi o fritti
con la pastella che sono appunto una delle prelibatezze di mare della cucina
napoletana.
Il pane
Scomparso oramai il pane "marsigliese",
un pane delicato fatto con lievito di birra e di forma particolare (due panetti
attaccati), il pane più utilizzato è il "pane cafone",
cresciuto a lievitazione naturale, cotto a legna in diverse forme. Sono anche
diffusi gli sfilatini, rimembranze delle baguette francesi, ma più corti
e un po' più larghi, le rosette, piccoli panini tondi e infine la fresella,
ovvero un biscotto di pane croccante tondo e sottile da condire con olio,
olive, pomodori e altro.
Primi piatti
La varietà dei primi piatti nella cucina
napoletana è molto vasta e comprende sia piatti molto semplici, come pasta al
pomodoro e basilico o il semplicissimo aglio e uoglio (aglio e olio),
fino a preparazioni elaborate, tra le quali il ragù che può richiedere, nella
versione più tradizionale, cinque o sei ore di preparazione. I primi piatti si
rifanno a più tradizioni complementari che spesso si mescolano e influenzano a
vicenda: quella di una cucina poverissima, basata principalmente su ingredienti
della terra, una cucina popolare tradizionale, ricca di frutti di mare e pesce,
alimenti dal costo contenuto, vista la pescosità del mare di Napoli, e, infine,
una cucina legata alla parte più agiata della città, costituita da carne di
ogni genere, uova e latticini, in preparazioni talvolta elaborate.
Gli spaghetti aglio, olio e peperoncino sono
una delle più semplici ricette napoletane.
La cucina più povera abbina spesso la pasta con i
legumi. Popolarissime sono: pasta e fagioli (pasta e fasule),
conditi con le cotiche, pasta e ceci, pasta e lenticchie,
e pasta e piselli. In maniera analoga ai legumi sono preparate pasta
e patate, pasta e cavolfiore, pasta e zucca.
Il metodo di cottura della cucina più popolare consiste nel far cuocere prima i
condimenti (ad esempio, soffriggere l'aglio nell'olio, quindi aggiungere i
fagioli lessati, oppure soffriggere la cipolla ed il sedano ed aggiungere le
patate tagliate a cubetti), quindi allungare con l'acqua, portare ad
ebollizione, salare, ed aggiungere la pasta cruda. La pasta, cuocendo insieme
ai condimenti, conserverà l'amido, che invece viene perso se la pasta viene
cotta a parte e poi scolata. Questo procedimento rende il sugo della pasta più
cremoso ("azzeccato"), ed è contrapposto ad una tradizione più
"nobile" che preferisce preparare questi piatti in maniera più brodosa,
aggiungendo alla fine la pasta cotta a parte. Per un primo piatto povero ma più
nutriente, la pasta può essere semplicemente condita con uovo alla
stracciatella e formaggio, la cosiddetta pasta caso e ova.
Un’altra ricetta tipica della
cucina napoletana è la frittata di maccheroni
che si può preparare anche con avanzi di pasta, sia in bianco che conditi col
sugo di pomodoro. Si mescola la pasta cotta al dente con uovo battuto e
formaggio. Può essere arricchita con svariati ingredienti. Alcune moderne riedizioni
la vogliono farcita con ingriedienti quali prosciutto cotto, mozzarella o
provola fresca. Tradizionalmente cotta in padella, c'è chi usa oggi cuocerla al
forno per renderla meno grassa. Se ben preparata risulta compatta, e può essere
anche tagliata a fette per essere consumata durante gite fuori porta o in
spiaggia.Della frittata di maccheroni esiste anche una versione più piccola,
chiamata appunto frittatina, preparata con besciamella, carne macinata,
piselli e mozzarella e poi fritta in pastella.
La pizza Margherita
La pizza è forse il prodotto della cucina italiana
più celebre nel mondo. Le sue radici sono antichissime, sicuramente risalenti
almeno all'epoca romana, quando erano diffuse diverse focacce di grano, citate
in alcune opere di Virgilio. Il nome, infatti, probabilmente deriva dal latino pins,
participio passato del verbo pinsere, che significa schiacciare. La
pizza vera e propria, ricoperta di salsa di pomodoro, risale a poco più di due
secoli fa, e fu presto popolarissima sia presso i napoletani più poveri e che
presso i nobili, compreso i re Borbone. Il successo della pizza conquistò anche
i re piemontesi, tanto è vero che proprio alla regina Margherita di Savoia nel
1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito dedicò la "pizza Margherita" che
rappresentava il nuovo vessillo tricolore con il bianco della mozzarella, il
rosso del pomodoro ed il verde del basilico. Tuttavia, quella che oggi è
chiamata pizza Margherita in realtà era già preparata prima della dedica alla
regina Savoia. Francesco De Bouchard già nel 1866 ci riporta la
descrizione dei principali tipi di pizza, ossia quelli che oggi prendono nome
di marinara, margherita e calzone: “ Le pizze più
ordinarie, dette coll'aglio e l'oglio, han per condimento l'olio, e sopra vi si
sparge, oltre il sale, l'origano e spicchi d'aglio trinciati minutamente. Altre
sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e allora vi si
pone disopra qualche foglia di basilico. Alle prime spesso si aggiunge del
pesce minuto; alle seconde delle sottili fette di muzzarella. Talora si fa uso
di prosciutto affettato, di pomidoro, di arselle, ec. Talora ripiegando la
pasta su se stessa se ne forma quel che chiamasi calzone. »( Francesco de Bourcard, Usi e costumi di Napoli, Vol. II,
pag. 124).
Il casatiello, o tòrtano è il rustico tipico del periodo di Pasqua, consumato anche il giorno di
pasquetta durante le gite fuori porta. Oggi i due nomi si usano spesso come
sinonimi, ed indicano un rustico ricco di un'imbottitura di formaggi ed
insaccati. Nelle versioni originali tòrtano e casatiello erano più semplici,
quest'ultimo si distingueva dal primo perché caratterizzato dalla presenza di
uova nell'impasto, mentre il primo era ripieno di cicoli:
« Nella sua prima semplicità popolare [il casatiello] non è altro che
un pane di forma circolare, come un grosso ciambellone, in cui si conficcano
delle uova, anche uno solo, secondo la dimensione del pane, e queste uova, con
tutto il guscio, sono fermate al loro posto da due strisce di pasta in croce.
La pasta è la solita pasta del pane, ma intriso con lardo e strutto. Cotto al
forno, le uova vi divengono sode. »
La tradizione culinaria napoletana annovera
una grande varietà di dolci. Tra i dolci principali, sono da ricordare i
seguenti:
La sfogliatella, frolla o riccia, ideata nel Settecento nel monastero di Santa Rosa situato nei
pressi di Amalfi, il cui ripieno contiene una crema di ricotta, semolino,
cannella, vaniglia e cedro e scorzette di arancia candite. Tra le varianti che
si trovano oggi vi è la Santa Rosa, più grande e completata da crema ed
amarene, la frolla perché fatta appunto con pasta frolla, e le code
d'arargosta, ripiene di una pasta bignè e farcite con vari tipi di crema.
Da ricordare inoltre la secolare battaglia tra i sostenitori della riccia
e della frolla che da tempi ormai immemori si contendono il titolo di
autentica sfogliatella.
Le zeppole di San Giuseppe, fritte o
al forno, sono ciambelle ricoperte di crema e di amarene.
La pastiera, del
periodo di Pasqua, è un dolce tipicamente realizzato a casa, più che in
pasticceria. Tra gli ingredienti vi è il grano, che a Napoli viene venduto già
lessato e pronto per l'uso. L'uso di questo ingrediente potrebbe essere legato
ai culti della fecondità di epoca greco-romana. Gli struffoli
natalizi, dolce tipico fatto da molte palline piccole e fritte, condite con
miele. Questo dolce ha probabili origini greche.La torta caprese, a base di mandorle
e cioccolato è tra i dolci preferiti per i pranzi e le cene che celebrano
matrimoni ed altri eventi importanti.
Vini
La tradizione vinicola italiana annovera molti
vini campani di qualità che si abbinano bene alla cucina locale. Tra i bianchi
vi sono il Greco di Tufo, la Falanghina, il Fiano di Avellino, l'Asprinio di
Aversa, mentre tra i rossi il Taurasi in primo luogo, nonché l'Aglianico, il
Piedirosso o pere 'e palummo, il Solopaca, il Lacryma Christi del
Vesuvio. Quest'ultimo si produce sia bianco che rosso. Tre vini campani hanno
la denominazione DOCG, tutti prodotti nella provincia di Avellino: il Taurasi,
rosso, anche nella versione riserva, il Fiano di Avellino, bianco, e il Greco di Tufo, bianco, anche nella
tipologia spumante
Infine una menzione speciale va fatta per il
caffè napoletano. Al termine di un pranzo o di una cena non può mancare una
tazzulella 'e cafè, che talvolta viene servito al tavolo del ristorante,
ma più spesso si va a prendere al bar. Tra i caffè più celebri di Napoli vi è
sicuramente lo storico Caffè Gambrinus, in piazza Trieste e Trento. Gran parte
dei Napoletani ritiene che il caffè partenopeo sia unico e ineguagliabile per
aroma e densità. Molte leggende metropolitane cercano di avvalorare
quest'affermazione in base a vari motivi, che vanno dall'acqua del Serino, al
tipo di miscela, alla calibrazione della macchina, o, più semplicemente,
all'abilità dei baristi napoletani. Anche se ultimamente la moka ha ormai
rimpiazzato la caffettiera napoletana in gran parte delle famiglie napoletane
non si puó dimenticare la famosissima cuccumella e a questo proposito
e’d’obbligo una citazione del napoletano per eccellenza Eduardo:
« Sul becco io ci metto
questo "coppitello" di carta... il fumo denso del primo caffè che
scorre, che è poi il più carico non si disperde. Come pure ... prima di colare
l'acqua, che bisogna farla bollire per tre quattro minuti, per lo meno ...
nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo
cucchiaino di polvere appena macinata ... in modo che, nel momento della
colata, l'acqua in pieno calore già si aromatizza per conto suo ».(Eduardo nel film Questi
fantasmi). ( Fonte Wikipedia)martedì 22 ottobre 2013
Amsterdam Da Gustare sabato 9 novembre
Un bell’evento
tutto italiano che vi voglio segnalare è Amsterdam Da Gustare
manifestazione che si svolgerá sabato 9 novembre a VOC-kade 10,
Amsterdam..
Si tratta di un progetto per la promozione diretta di piccoli produttori italiani di
vino e specialità più o meno di nicchia. Questa avviene tramite eventi
itineranti, degustazioni, lezioni di vino e cucina, conferenze rivolte a
professionisti del settore e a privati. Da Gustare offre un pezzetto di
Italia urbana e contemporanea al pubblico olandese e internazionale di
Amsterdam
Questo pezzetto
d’Italia quest’anno si puó trovare nei padiglioni industriali novecenteschi dei
Van Gendthallen sull’isola Oosterburgereiland ad Amsterdam Est, che
sabato 9 novembre
si trasformerá in un contenitore di
ottimo cibo, vino, musica, intrattenimento, mostre e workshop italiani.
Diversi piccoli
produttori delle nostre eccellenze enogastronomiche e di design saranno
presenti per far vedere, assaggiare e raccontare i propri prodotti.
Alcuni cuochi
italiani serviranno le loro specialità e gli ospiti che desiderino apprendere i
trucchi del mestiere potranno mettersi un grembiule e unirsi ad uno dei loro
corsi di cucina.
Programma
- La sommelier
AIS Barbara Summa e i suoi colleghi guideranno degustazioni a
tema per piccoli gruppi in programma anche vini della Sardegna, dell’Emilia
Romagna e del Friuli.
.
- L’importatore
di specialità italiane Casa Lisetta presenta i suoi salumi e
altre bontà umbre. Nella loro vecchia Fiat Panda station wagon hanno installato
una macchina espresso per degustare il vero caffè napoletano della Kimbo.
- I veri cannoli
siciliani potete assaggiarli da Antonio Di Maggio della
gastronomia siciliana Casa Di Maggio. Da lui potete trovare anche la vera
cioccolata di Modica.
- Allo stand del
ristorante L’Ozio potete assaggiare i veri casoncelli
bresciani preparati davanti ai vostri occhi dalla mitica signora Sandra.
- Sommelier ed
importatore di vini Ed Baten di Pura Passione darà un
workshop sui vini biologici.
- Maestro
chocolatier Antonio Autore van Casa Autore presenta la
sua nuova splendida (e buonissima) collezione di cioccolatini ad Amsterdam Da
Gustare.
- La scrittrice e
documentarista Daniela Tasca di 1001 Italiani terrà una
conferenza gratuita sulla storia dell’emigrazione italiana nei Paesi Bassi.
- La bar-lady Cinzia
Maineri si occuperà invece del Mixin’ n’ Shakin’ Bar servendo
bibite analcoliche (come Chinotto, Cedrata Tassoni) e diversi tipi di birra. La
“birra comunale” di Amsterdam è riservata ai bambini (acqua).
- Per chi invece
ama un poco di alcohol nel proprio aperitivo, c’è il bar veneziano del
ristorante Al Bàcaro: Vezio e il suo collega prepareranno il
vero Spritz veneziano davanti ai vostri occhi. E non mancheranno cichetti e
rebechin (i cicheti sono le “tapas” veneziane, i rebechin quelle
triestine, che tradizionalmente si servono con l’aperitivo)!
- Per gli amanti
del panino con la porchetta, il ristorante Il Pacioccone
infilerà un intero maiale nel proprio forno a legna.
- Sommelier e
importatore Piet Dooijewaard darà un workshop sui vini sardi.
- L’esperta d’
intolleranze alimentari Rossanina Del Santo, fondatrice del
famoso forum di cucina Coquinaria, darà una conferenza gratuita sulle
intolleranze più note (glutine, lattosio, uovo) e racconterà quali piatti della
tradizione italiana sono senza pericolo per chi soffre di queste patologie.
- Ci sarà un tavolo
con diversi tipi di olii d’oliva (che si potranno acquistare
direttamente dai diversi produttori presenti all’evento) e che potete
assaggiare sotto la guida di un esperto d’olio d’oliva.
- Antonella
Barbella e Nicoletta Tavella presentano ognuna il
proprio libro di ricette italiane e daranno lezioni di cucina.
- Atelier
dei piccoli dalle 13 alle 18 con cantastorie e workshop di cucina e
creatività
Amsterdam Da Gustare avrá
luogo sull’antica isola Oosterburgereiland ad Amsterdam Centrum, presso
Mediamatic dalle 12.00 alle 21.00..
L’indirizzo
esatto è: VOC-kade 10, 1018 LG Amsterdam.
Come arrivarci
consultate questo link:
Tutte le
informazioni di questo testo sono state prese dal sito ufficiale di Da Gustare
al quale vi rimando per tutte le informazioni dettagliate e per l’acquisto dei
biglietti
lunedì 14 ottobre 2013
Alex Britti 21 ottobre in concerto ad Amsterdam
Alex Britti è nato
a Roma il 23 agosto 1968; è un
chitarrista e un autore solista, fiero, deciso. Tanto di lui e della sua musica
lo annuncia il suo viso: i tratti severi, lo sguardo inafferrabile, il sorriso
contagioso. Un chitarrista fuori dal comune lo è sempre stato, sin da
giovanissimo, da quando attraversava l’Europa insieme a grandissimi del Blues
quali Rosa King, Buddy Miles e Billy Preston. Ora, a 44 anni, racconta
serenamente di quegli inizi difficoltosi, quando suonava come musicista anche
per poter sbarcare il lunario, perché come cantautore non riusciva a farsi
ascoltare. Ma caparbio com’è Alex non
ha mai mollato e nel 1997 pubblica prima due singoli Quello
che voglio e Solo una volta (o tutta la vita) – e poi il
primo album, It.pop.
Ne consegue il
successo popolare insieme ai primi riconoscimenti della critica: It.pop è triplo disco di platino, mentre “Musica e
Dischi” lo proclama miglior debutto discografico dell’anno. Nel 1999 la sua
Oggi sono io vince tra le Nuove Proposte del
Festival di Sanremo: canzone che, due anni dopo, sarà reinterpretata da un
mostro sacro della musica italiana: Mina.
Una rapida
successione di eventi e di successi: il Pavarotti & Friends (dove suona
anche come chitarrista di Joe Cocker e Pavarotti), il tour “Sulla spiaggia” con
Corrado Guzzanti, la pubblicazione dell’album La vasca
il cui singolo ha un successo enorme.
E ancora un nuovo
Festival di Sanremo con Sono contento, il
Palavasca e il triplo platino per questo suo secondo album. Alex è sempre e
prima di tutto un chitarrista, un musicista che deve mettersi alla prova e
scoprire nuove cose di sé e della sua fida Martina (una delle prime chitarre,
una Martin, appunto) ogni volta che sale su un palco. Le radici di Alex Britti
sono ben piantate in Europa: nel blues e nel jazz con i quali si è formato, nei
piccoli e grandi locali e festival europei nei quali si è esibito giovanissimo.
Del 2009 è la registrazione di 23
il più recente album di inediti. Con Alex in studio ci sono musicisti
straordinari quali Darryl Jones – bassista di Miles Davis, Eric Clapton e degli
Stones -, Davide Rossi – violinista e arrangiatore di Brian Eno, Robert Fripp e
Cold Play- , Paco Sery - batterista di Joe Zawinul-, ed anche Bob Franceschini
- sassofonista, tra gli altri, di Mike Stern - e Cecilia Chailly – arpista di
De André e Mina-. .23 è un disco nel quale sono
protagonisti i paesaggi, da quelli familiari e chiassosi della sua Roma, a
quelli sognati di una Betlemme stellata o di una Berlino bombardata, da quelli
piovosi d’un autunno difficile da vivere, a quelli sovraffollati nel ‘giorno
che sa di buono’ come nella ‘notte che sa di menta’.
Nel giugno di
quest’anno , anticipato in radio dal singolo Baciami (e
portami a ballare) esce il nuovo album di inediti Bene cosí.
L’albun racconta gli affetti privati, le “banali concretezze appese a un filo
di malinconia” e il desiderio di andare avanti in “questo mondo di matti”, la
necessità di trovare sempre uno slancio nuovo, un nuovo sogno che ci spinga
oltre. Un disco molto più rock dei precedenti, più
immediato. Osservazioni, pensieri, stati d’animo raccontati in modo semplice e
diretto, suonato con la grinta di sempre.
E proprio
per presentare il suo nuovo disco e il suo repertorio, accompagnato dalla sola
chitarra, Alex Britti suonerà ad Amsterdam il 21 di ottobre, a cui
seguiranno Bruxelles ( 23 ottobre) e Londra ( 25 ottobre). Bene così
un disco che Alex stesso ha più volte definito il suo disco più scarno e
diretto, senza fronzoli verrá presentato in giro proprio nel modo più scarno e
diretto: da solo sul palco, lui e le sue chitarre. Britti ha scelto di
far partire questo viaggio oltre confine, con tre concerti europei che lo
riporteranno nella sua seconda casa (Amsterdam), al centro dell’Europa
(Bruxelles), e, per la prima volta, nella swinging London.
Alex Britti in concerto
Paradiso Amsterdam PEOPLE'S
PLACE
Lunedí 21 ottobre, ore 20.30 uur
Prezzo del biglietto 20 eurohttp://www.youtube.com/watch?v=Y1eiJhU6Pek&list=PLL37Zd8C88uNowtsY-0XilF3eXJE6dBwJ
fonte: sito ufficiale di A. Britti
Iscriviti a:
Post (Atom)