A TUTTI GLI STUDENTI DI ITALIANDO PASSATI, PRESENTI E FUTURI I MIGLIORI AUGURI DI BUONE FESTE.
CON AFFETTO.
NICCA VIGNOTTO
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sabato 28 dicembre 2013
venerdì 13 dicembre 2013
Natale italiano: panettone o pandoro
Siamo il 14 di dicembre mancano
solo dieci giorni a Natale e i preparativi fervono. Fra le mille ricette
regionali e tradizionali per un Natale tutto italiano non possono mancare a
fine pasto i classici dolci natalizi: il panettone e il
pandoro. Ma quale dei due è il
piú amato dagli italiani? Difficile rispondere a questa domanda certamente
dipende molto dalle tradizioni di ogni famiglia. In casa mia il protagonista è
sicuramente il pandoro.
Storia del panettone
L'origine
del panettone è milanese. Nel '600 aveva la forma di una rozza focaccia, fatta
di farina di grano e chicchi d'uva. Nell' 800 il panettone era una specie di
pane di farina di grano arricchito con uova, zucchero, uva passa. L’uva passa
aveva una funzione propiziatoria di ricchezza e denaro.
Ci
sono varie leggende legate alla storia del panettone.
Una
prima leggenda ambientata a fine '400, narra di Ughetto figlio del condottiero Giacometto
degli Atellani si innamorò della bella e giovane Adalgisa. Per star vicino alla
sua amata egli s'improvvisò pasticcere come il padre di lei, tal Toni, creando
un pane ricco, aggiungendo alla farina e al lievito, burro, uova, zucchero,
cedro e aranci canditi. Erano i tempi di Ludovico il Moro, e la moglie duchessa
Beatrice vista questa grande passione del giovane, aiutata dei padri Domenicani
e da Leonardo da Vinci, si impegnò a convincere Giacometto degli Atellani a far
sposare il figlio con la popolana. Il dolce frutto di tale amore divenne un
successo senza precedenti, e la gente venne da ogni contrada per comprare e
gustare il "Pan del Ton".
Narra una seconda leggenda che per la vigilia di Natale, alla corte del duca Ludovico, era stata predisposta la preparazione di un dolce particolare. Purtroppo durante la cottura questo pane a cupola contenente acini d'uva si bruciò, gettando il cuoco nella disperazione. Fra imprecazioni e urla, si levò la voce di uno sguattero, che si chiamava Toni, il quale consigliò di servire lo stesso il dolce, giustificandolo come una specialità con la crosta. Quando la ricetta inconsueta venne presentata agli invitati fu accolta da fragorosi applausi, e dopo l'assaggio un coro di lodi si levò da tutta la tavolata; era nato il "pan del Toni".
Uno degli artefici del panettone moderno è stato Paolo Biffi, che curò un enorme dolce per Pio IX al quale lo spedì con una carrozza speciale nel 1847. La nascita e lo sviluppo della forma e della confezione attuale del panettone sono databili alla prima metà del '900, quando Angelo Motta propose il cupolone e il "pirottino" di carta da forno, quasi a celebrare la crescita e l'importanza del preparato.

Storia del pandoro Questa è invece una golosità tipica di Verona, delicata, soffice, che ha trovato un
posto d'onore nelle tavole natalizie italiane. Anche la sua storia è ricca di
aneddoti e leggende. L'attuale versione del pandoro risale all ‘800 come
evoluzione del"nadalin", il duecentesco dolce della città di
Verona a forma di stella che per tradizione le famiglie veronesi preparavano
per Natale. Nel 1260 per festeggiare il primo Natale dopo l’investitura dei
nobili Della Scala a Signori di Verona si creó
inizialmenteun dolce costituito da un tronco a stella con 8 punte e non
troppo alto ricoperto da una glassa. Intorno alla fine dell’Ottocento,
il dolce cambiò forma, venne alzato, le punte ridotte a 5 e la glassa
eliminata.
Storia del pandoro Questa è invece una golosità tipica di Verona, delicata, soffice, che ha trovato un posto d'onore nelle tavole natalizie italiane. Anche la sua storia è ricca di aneddoti e leggende. L'attuale versione del pandoro risale all ‘800 come evoluzione del"nadalin", il duecentesco dolce della città di Verona a forma di stella che per tradizione le famiglie veronesi preparavano per Natale. Nel 1260 per festeggiare il primo Natale dopo l’investitura dei nobili Della Scala a Signori di Verona si creó inizialmenteun dolce costituito da un tronco a stella con 8 punte e non troppo alto ricoperto da una glassa. Intorno alla fine dell’Ottocento, il dolce cambiò forma, venne alzato, le punte ridotte a 5 e la glassa eliminata.
Il
suo nome e alcune delle sue peculiarità risalirebbero invece ai tempi della
Repubblica Veneziana dove sembra che fra l'offerta molto diffusa di cibi
ricoperti con sottili foglie d'oro zecchino, ci fosse anche un dolce a forma
conica chiamato "pan de oro".
Un'altra
storia assegna la maternità del pandoro in Austria ai tempi dell’impero
Asburgico, dove si produceva il cosiddetto “Pane di Vienna”,
probabilmente derivato a sua volta dalle brioches francesi. Fin dal ‘700/’800,
infatti la tecnica per ottenere questo pane era molto conosciuta, la sua
lavorazione prevedeva di completare l’impasto aggiungendo una maggiore dose di
burro (come si fa per la pasta sfoglia) con il risultato che, durante la
cottura il dolce acquisti volume. Da non dimenticare che la famosa brioche
francese per secoli ha rappresentato il dessert preferito della corte dei dogi
In
ogni caso, qualunque sia stata la sua origine, nel 1894 fu brevettata la
ricetta da Domenico Melegatti mentre lo stampo fu disegnato dal pittore
impressionista Angelo Dell’Oca Bianca, che lo disegnò con il corpo a forma di
stella a 8 punte.
Una
cosa è abbastanza certa: il nome Pandoro deriva proprio dal colore dorato di
questo dolce, dato dalla presenza, nell’impasto, di una gran quantità di uova.
Fra gli ingredienti del pandoro si
annoverano: farina, zucchero, uova, lievito, burro e burro di cacao.La ricetta
originale del pandoro non prevede che questo venga guarnito internamente con
creme o canditi, il pandoro originale è quello senza farcitura ricoperto solo
da uno strato di zucchero a velo. Semplicemente inimitabile!
venerdì 6 dicembre 2013
Un libro italiano per Natale
Se state cercando
un bel libro da regalare o da farvi regalare per Natale, vi consiglio un libro
italiano intitolato L’amica geniale, scritto dalla scrittrice Elena
Ferrante.Il romanzo che è
stato tradotto in olandese da Marijke van Laake è uscito in edizione
Paperback lo scorso agosto sotto il titolo di De geniale vriendin.
Elena Ferrante è
lo pseudonimo di una scrittrice o di uno scrittore di cui si ignora la vera
identità. Di lei si sa solo che sarebbe nata a Napoli, città che avrebbe
abbandonato presto per vivere a lungo all’estero. La scrittrice parla
della scelta dell’anonimato come del desiderio di autoconservazione a salvaguradia del proprio
privato. Infatti, la scrittrice è fermamente convinta che i suoi libri non
necessitino di una sua foto in copertina, né di presentazioni promozionali perché queste non aggiungerebbe loro
mai niente di decisivo.
“L’amica
geniale” è un romanzo affascinanate
e si vorrebbe che non finisse mai. E infatti non finisce poiché è il primo di
una trilogia che qui porta a compimento la narrazione dell’infanzia e
dell’adolescenza di Lia ed Elena e ci lascia di fronte a nuovi grandi mutamenti
che stanno per sconvolgere le loro vite e la loro amicizia.
La trama: a Torino, dove abita Elena , arriva una
telefonata da parte del figlio quarantenne di Lila, preoccupato per la
scomparsa della madre che non ha lasciato nessuna traccia di sé. Elena capisce
immediatamente che la scomparsa dell’amica è voluta e questa è l’occasione per
lei di ritovare la memoria lontana della loro amicizia. Decide di mettersi al
computer e inizia a raccontare la storia della sua amicizia con Lila. Siamo a
Napoli negli anni cinquanta: in un povero quartiere, abitato da fascisti e
monarchici oltre che da piccoli teppisti e ignoranti arricchiti e sullosfondo
c’è l’ombra della camorra. I giovani che vivono qui cercano di superare le
divisioni fra famiglie, di uscire dal quartiere e di affrancarsi da un destino
segnato. Nello svolgersi della narrazione si seguono le storie delle diverse
famiglie contrassegnate da amori, passioni, odi vendette e vita di vicinato. Ma
al centro di tutto c’è sempre la profonda amicizia fra due bambine prima e adolescenti
poi. Lila è povera e magra, figlia di uno scarparo possiede una intelligenza
rara e precoce, è la piú brava a scuola e la piú cattiva con i maschi e le
compagne. È molto invidiata dall’amica del cuore Elena, figlia di un usciere
comunale, diligente e studiosa, che riuscirá ad approdare con molti sacrifici e
ore di studio al liceo classico.
La scrittrice
scava a fondo la psicologia delle due bambine che crescono, che scoprono
l’amore, le buone letture, la politica, la morale, le rivalitá, le incomprensioni
e le separazioni. La loro amicizia si rivela, nel corso degli anni, sempre piú
solida, anzi trae alimento dalle reciproche differenze e dai diversi percorsi
individuali.
Elena ha la
possibilitá di affrancarsi dal ristretto orizzonte del quartiere dove è nata
con lo studio e la frequentazione delle scuole medie e del liceo. Lila invece
abbandona gli studi prima per inseguire il sogno della fabbricazione di scarpe
artigianali di pregio e poi per finire sposa a sedici anni con il salumiere del
quartiere in cui abita. Il romanzo finisce qui e ci rendiamo conto che per
arrivare alla conclusione che è l’inizio del racconto mancano esattamente
cinquanta anni. Aspettando il seguito sorge peró spontanea una domanda: ma
chi davvero fra le due è l’amica geniale?
( Fonte: InternetCorriere)
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