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giovedì 21 novembre 2013

21 Novembre Festa della Salute a Venezia


La Festa della Salute è sicuramente tra le feste veneziane quella dall'impatto meno "turistico", tradizione che evoca un sincero sentimento religioso popolare. A tutt'oggi, il 21 novembre, migliaia di persone percorrono il ponte votivo di barche eretto per l’occasione sul Canal Garande che unisce Santa Maria del Giglio alla punta della Dogana e vanno in pellegrinaggio alla chiesa della Salute a rendere omaggio alla Madonna e ad accendere un cero affinché interceda per la loro salute.

Sfilando in migliaia davanti all'altare maggiore dell'imponente Chiesa della Salute i veneziani perpetuano il secolare vincolo di gratitudine che lega la città alla Vergine Maria. Durante tutta la giornata, nella basilica, tenuta aperta senza interruzione, vengono celebrate in continuazione messe e rosari, con un afflusso continuo di fedeli. 


La storia

Nel 1630 la peste bubbonica si abbatte su tutto il nord Italia e anche su Venezia. Il doge fa voto di erigere una chiesa intitolata alla Salute, chiedendo l'intercessione della Vergine Maria per porre fine alla pestilenza. Il contagio della peste si estende a Venezia in seguito all'arrivo di alcuni ambasciatori di Mantova, città già molto colpita dall'epidemia, inviati a chiedere aiuti alla Repubblica di Venezia. Gli ambasciatori vengono alloggiati in quarantena nell'isola di San Servolo, ma nonostante questa precauzione alcuni falegnami entrati in contatto con gli ospiti subiscono il contagio e diffondono il morbo nell'area cittadina. L'epidemia è  particolarmente virulenta: nel giro di poche settimane l'intera città viene colpita, con pesanti perdite tra gli abitanti e ne sono vittime lo stesso doge Nicolò Contarini e il patriarca Giovanni Tiepolo. Nel momento culminante dell'epidemia, in assenza di altre soluzioni, il governo della Repubblica organizza una processione di preghiera alla Madonna, a cui partecipa per tre giorni e per tre notti tutta la popolazione superstite. Il 22 ottobre 1630 il doge fa voto solenne di erigere un tempio votivo particolarmente grandioso e solenne se la città fosse sopravvissuta al morbo.



Poche settimane dopo la processione, l'epidemia subisce prima un brusco rallentamento per poi lentamente regredire fino a estinguersi definitivamente nel novembre 1631. Il bilancio finale è  stimato in quasi 47.000 morti nella sola cittá di Venezia (oltre un quarto della popolazione) e quasi 100.000 nel territorio del Dogado. Il governo decreta allora di ripetere ogni anno, in segno di ringraziamento, la processione in onore della Madonna denominata da allora della "Salute"e di erigere una basilica in onore della Madonna.



La posizione per la nuova basilica doveva essere una zona di primo piano, con vista sul Bacino di San Marco. Vince il progetto dell'architetto Baldassare Longhena che progetta la costruzione di un tempio barocco a struttura ottagonale sormontato da un'imponente cupola. Opera gigantesca per l’epoca basti pensare che la basilica  poggia su più di 1 milione di tronchi di legno. La costruzione dura 56 anni ed infine la Basilica della Madonna della Salute viene consacrata il 9 novembre 1687, il doge Marcantonio Giustinian farà solenne giuramento che la Signoria avrebbe fatto visita al sacro tempio il 21 novembre di ogni anno

Si tratta di una chiesa a pianta ottagonale, con una facciata strutturata nelle famose sculture chiamate orecchioni, che ricordano appunto delle orecchie enormi, che contribuiscono a bilanciare l'enorme colpo visivo della cupola. Solo nella ricorrenza del 21 novembre tutti gli otto altari nelle loro nicchie sono aperti al pubblico e quindi visitabili. L'altare centrale della Basilica di Santa Maria della Salute, custodisce un’icona bizantina di una Madonna nera. È la Madonna della Salute o Mesopanditissa, che proviene dall'Isola di Creta e che fu portata a Venezia da Francesco Morosini nel 1670, quando i veneziani dovettero cedere l'isola ai Turchi.

Oltre alla tradizionale processione e alla messa è tradizione nel giorno della festa della Salute, mangiare una pietanza a base di carne, la cosiddetta "castradina”. La castradina sembra derivare dalle ricette della costa dalmata che era allora parte della Repubblica di Venezia, ed è composta da carne di montone e verze in brodo, timo e cipolle. Una nota su questo piatto di Elio Zorzi tratta dal suo libro Osterie Veneziane del 1928 ci dice che la denominazione sembra risalire all'anno 1173 come Sicce carnis de Romania et Sciavinia. In origine, era solo la carne di montone salato e poi affumicata ed essiccata al sole e conservata nelle navi mercantili, per nutrire i marinai veneziani che attraversano il Mediterraneo e che viaggiavano verso paesi lontani. Si tratta di un cosciotto di montone salato, affumicato e stagionato la cui preparazione è molto lunga.
Ricetta:
Procurati la carne (le macellerie, i “becheri” a Venezia, da qualche anno, hanno ricominciato a venderla), mettila in acqua ballente e lascia che si raffreddi, quindi cambia l’acqua e falla nuovamente bollire e poi raffreddare. Continua così per 4/5 volte (ci vorrà un giorno intero, ma è indispensabile per togliere il forte sapore dell’affumicatura, la salatura e per far “rinvenire” la carne). A questo punto falla bollire per un paio d’ore in un brodo di cipolla, sedano, carota, alloro e bacche di ginepro. Lascia raffreddare e togli con cura tutto il grasso rappreso in superficie. Rimetti la pentola sul fuoco aggiungendo abbondante cavolo verzotto tagliato à la julienne, cuoci senza fretta, fino a quando le verze saranno ben cotte e la carne tenera.


Visto che il 21 novembre oltre alla Madonna della Salute si festeggiava anche il compleanno di mio padre questa festa nella mia famiglia è sempre stata molto sentita.. Nei miei ricordi in questa giornata che tradizionalmente era nebbiosa, fredda e a volte con acqua alta, fin dal mattino presto si assisteva ad una lenta e continua processione di fedeli che attraversando il ponte votivo giungevano alla basilica. Tutto intorno era pieno di bancarelle dove si vendevano le tradizionali candele votive lunghe e fini da accendere in basilica in onore della Madonna. Inoltre, sempre ai piedi della basilica, ovunque erano presenti le bancarelle con i dolci tipici, torrone e frittelle il cui indimenticabile odore ti seguiva e ti rimaneva nel naso durante tutto il giorno. Dopo una lunga fila in attesa di poter entrare, all’ingresso in basilica l’altro odore tipico che ti assaliva fortissimo era quello dell’ incenso. Entrando l’aria era densa e surreale e l’imponente Madonna mi abbracciava nella sua bellezza. Da bambina quello che piú mi abbagliava di quella splendida icona erano quelle incredibili collane d’oro, scintillanti da cui non potevo staccare gli occhi e poi naturalmente il premio finale dopo ore di cammino, di preghiera e di attesa: una fragrante pastina piena di crema e zucchero a velo! Che meravigliosi ricordi. Ecco di seguito un piccolo video dell'occasione per ricavarne alcune impressioni: 

martedì 19 novembre 2013

La grande bellezza nei cinema olandesi


Lo scorso mercoledí 6 novembre all’EYE Instituut di Amsterdam è andato in premiere La Grande Bellezza il nuovo film di Paolo Sorrentino. Presentato in anteprima al Festival di Cannes di quest'anno questo film ha segnato il grande ritorno dell'autore a una produzione italiana. La pellicola, accolta da lunghi applausi, ma anche contestata dalla stampa francese, ha l'ambizione o la presunzione, di dire qualcosa di significativo sullo stato attuale dell’Italia, sopratutto sulla sua decadenza. Molti hanno implicitamente fatto un paragone tra questo film e  La dolce vita e 8½ di Fellini  vedendo in tutte queste pellicole il tentativo di  far rivivere la magia felliniana di una Roma contesa fra l’eterno della bellezza e l’effimero grottesco degli uomini.


La Grande Bellezza di Sorrentino ha diviso pubblico e critica, ricevendo consensi e critiche. Il regista si misura con un soggetto molto complesso cercando di raccontare il vuoto di valori dell’Italia contemporanea e in particolare di un ambiente alto borghese romano frequentato da personaggi in cerca di affermazione, ma costantemente incapaci di sottrarsi al fuoco fatuo della mondanità.

Il personaggio principale, interpretato da Toni Servillo, è Jep Gambardella, un giornalista con aspirazioni di scrittore naufragate in un unico tentativo letterario di molti anni prima. A Roma diventa il protagonista della mondanità, perdendosi in un labirinto di umanità incompiute e false che anestetizzano la propria desolazione attraverso uno stile di vita senza pensiero e senza scopo. Molti gli chiedono perché non abbia più pubblicato romanzi e nel corso del film la risposta prende corpo: il tentativo di trovare la grande bellezza della vita, il significato più elevato dell’esperienza, è fallito nel vortice immobile di una società che divora ogni senso profondo temendo che da esso possa derivare un doloroso confronto con il vuoto dell’immagine. Il romanzo pubblicato ormai una vita fa, fa attraversare al sessantenne giornalista viveur, mondano di professione una esistenza con lo sguardo di chi ha visto tutto, stanco e cinico. In questo film per Paolo Sorrentino, più che la storia sembrano contare le suggestioni fatte di immagini.

In questa corruzione fisica e morale fanno da contrasto degli scorci mozzafiato di una Roma notturna e segreta, o soleggiata e monumentale, la visione di una suora intenta a raccogliere arance, il sorriso di una ragazzina, un incontro imprevisto con una donna di classe o la scoperta dell'esistenza di "due brave persone".  Sono le piccole epifanie che bilanciano l'inerzia con cui va avanti Jep in un mondo che prolifera sulle proprie rovine, in cui le velleità artistiche nascondono incapacità e mancanza di talento.

Purtroppo in questo film è presente una ridondanza dicontenuto, che si protrae in assenza di un’autentica trama e piuttosto si affida a una sequela a volte estenuante di frammenti sempre uguali, riempiti da individui che replicano se stessi nel compimento di azioni patetiche, bizzarre, amorali.

E’ possibile vedere La grande bellezza in diversi cinema in Olanda. Per maggiori informazioni consultate il link di seguito riportato:http://www.biosagenda.nl/film_la-grande-bellezza_25745.html
(fonte internet spettacoli blogosfere)

domenica 10 novembre 2013

Dalston Anatomy, di Lorenzo Vitturi dal 8 novembre - 11 dicembre 2013 Amsterdam





Lorenzo Vitturi è un fotografo italiano che vive e lavora tra Londra, Milano e Venezia. Nato a Venezia nel 1980 è considerato uno dei giovani fotografi italiani di massimo talento. Dopo la laurea in fotografia e design allo IED di Roma (2004), egli ha ricevuto una borsa di studio presso il Centro di ricerca in comunicazione Benetton, Fabrica, dove è rimasto per due anni dal 2005 al 2007. Ha iniziato la sua carriera artistica come scenografo nell'industria del cinema a Roma e ha portato questa esperienza nei suoi progetti fotografici che ruotano intorno a installazioni site-specific che utilizzano lo spazio, la luce e la materia. Egli usa la fotografia per impostare le scene di pensieri e idee attraverso la manipolazione dello spazio, seguendo i suoi progetti dall'ideazione creativa alla realizzazione.

Vitturi ha appena pubblicato il suo libro Dalston Anatomy ( JibiJana & SPBH edizioni), un libro fotografico che diventerá presto un classico. E proprio su questo libro è basata la mostra che si è inaugurata ad Amsterdam il 7 novembre presso Foam.  La mostra intitolata Anatomia Dalston è un'ode ai piaceri sensuali della vivace Ridley Road Market di Londra . "Il mercato è un luogo unico dove si può arrivare a capire la gente di Dalston a Hackney. Tutto l’insieme fa di questo luogo qualcosa di speciale”, afferma Vitturi. Il suo studio si trova proprio vicino a questo vivace e caleidoscopico mercato. Il fotografo ha trascorso moltissimo tempo a Dalston Market per scattare foto, fare sculture e creare dei collage con materiali e oggetti che trovava tra i rimasugli delle bancarelle. Vitturi visitando le bancarelle del mercato ha trovato parti di materia organica e inorganica, cibo tessuti , carne , detriti, e pigmenti. Ha riorganizzato la loro forma, dipinto alcune parti e ne ha creato oggetti colorati e del tutto speciali. Giocando con la combinazione tra illusione e realtà, mescolando insieme diversi mezzi come la fotografia, la scultura, la pittura e il collage è riuscito a costruire degli insiemi estemporanei. Vitturi utilizza qualsiasi tipo di materiale per indagare l'effetto del tempo che passa e per catturare l’attimo prima della sua trasformazione e il suo definitivo deperimento.

Le “sculture di fortuna” che egli crea imitano la natura organica e temporanea del mercato, e le fotografie delle stesse  è il suo modo di documentare il tempo che passa prima che le stesse muoiano definitivamente. Nelle foto si vede una cacofonia di consistenza e colore: afro e trecce, frutta, carne di maiale, pesce e palloncini, vernice brillante e teloni utilizzati dalle bancarelle. Vitturi si concentra sul linguaggio astratto ma universale di forme, colori e composizione .


L' inaugurazione della mostra Dalston Anatomy in presenza dell'artista è avvenuta giovedi 7 novembre.Questa mostra è stata realizzata in stretta collaborazione con la curatrice Francesca Seravalle.
(Fonte Foam Press Release)

Dalston Anatomy , di Lorenzo Vitturi dal 8 novembre - 11 dicembre 2013
presso Foam
Keizersgracht 609
1017 DS Amsterdam
telefono + 31 (0)20 5516500
Orario di apertura tutti i giorni 10:00-06:00 , gio / ven 10:00-09:00 . Biglietti: € 8,75
 

giovedì 7 novembre 2013

Bellas Mariposas 8 novembre Filmhuis a Purmerend


Bellas mariposas è un film italiano del regista sardo Salvatore Mereu che è uscito nei cinema italiani nel maggio del 2013.  


La trama:

Caterina ha dodici anni, tanti fratelli e un padre nullafacente. Vive alla periferia di Cagliari, ma vorrebbe fuggire: sogna di fare la cantante, non vuole finire come sua sorella Mandarina, rimasta incinta a tredici anni, o come Samantha, la ragazza oggetto del quartiere. Solo Gigi, un vicino di casa, merita il suo amore. Ma oggi, 3 agosto, la vita di Gigi è in pericolo: Tonio, uno dei fratelli di Caterina, vuole ucciderlo. Intanto lei trascorre con Luna, la sua migliore amica, il giorno più lungo della loro vita, tra il quartiere, il mare e le strade del centro. Quando scende la sera, tutto sembra perduto, ma dal nulla compare una bellissima donna: la coga Aleni, una strega che può leggere il futuro delle persone.

Il film è tratto dal racconto omonimo di Sergio Atzeni, scritto popolarissimo in Sardegna. Si tratta di una commedia agra che racconta con un’originalità, una freschezza e una libertà rare nel nostro cinema la giornata d’agosto di una dodicenne che vive in questa brutta periferia cagliaritana, con un padre poco di buono, una madre onesta e tanti fratelli e sorelle divisi tra chi ha preso dal papà e chi della mamma. Una giornata trascorsa con la sua migliore amica nel tentativo di salvare dalle ire di un fratello maggiore il ragazzino di cui è innamorata, e nel corso della quale crescerà e troverà nuovo senso e definizione del concetto di famiglia.

Il film e’stato girato in quel quartiere difficile di Cagliari che è Sant’Elia grazie alla attività d’insegnante del regista stesso In precedenza Mereu aveva girato un film scolastico con i ragazzi locali proprio in quei luoghi e grazie a quell’esperienza precedente lì come un intruso scomodo, ma il regista è stato accolto come l’insegnante dei loro figli. Nelle scuole ha trovato prima le due attrici protagoniste, e poi ho costruito attorno a loro tutto il cast.

Bellas Mariposas è il racconto di una realtà terribile e degradata, ma con uno sguardo e dei toni lievi, ironici e ottimisti. E’ un film solare e vibrante, energetico e pieno di vita, capace di raccontare lo squallore e le bruttezze del mondo senza farsene assorbire, ma considerandoli solo come dati oggettivi cui fanno da contrasto le piccole, grandi gioie delle vita dalle quali la piccola Caterina si aggrappa senza disperazione né revanscismi, ma con leggerezza e freschezza, con spirito sereno, amaro solo nel retrogusto.

In questo film il brutto e il bello vengono mostrati senza moralismi né estetizzazioni, con la purezza non più ingenua di una preadolescente che della vita già sa tutto, ma che la sua deve e può ancora costruirla come meglio crede. Guardando Bellas mariposas si rabbrividisce e al tempo stesso si ride.
 
Bellas Mariposas

Fumhuis Purmerend Venerdí 8 Novembre ore 20.30


martedì 5 novembre 2013


Napoli cittá dai mille colori, odori e sapori, cittá unica, magica.


La sua cucina ha antichissime radici storiche che risalgono al periodo greco-romano, e si è arricchita nei secoli con l'influsso delle differenti culture che si sono susseguite durante le varie dominazioni della città e del territorio circostante. Importantissimo peró è stato l'apporto della fantasia e creatività della sua gente. A seguito delle varie dominazioni, principalmente quella francese e quella spagnola, si è delineata la separazione tra una cucina aristocratica ed una popolare. La prima, caratterizzata da piatti elaborati e di ispirazione internazionale, sostanziosi e preparati con ingredienti ricchi, come i timballi o il sartù di riso, mentre la seconda legata ad ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure, come la popolarissima pasta e ceci. A seguito delle rielaborazioni avvenute durante i secoli, e della contaminazione con la cultura culinaria più nobile, la cucina napoletana possiede ora una gamma vastissima di pietanze, tra le quali spesso anche quelle preparate con gli ingredienti più semplici risultano estremamente raffinate.



La pasta

Esiste una grande varietà di pasta napoletana. Nella cucina locale è molto più diffusa la pasta di semola di grano duro, di produzione industriale. La produzione su larga scala della pasta nel napoletano risale almeno al XVI secolo, quando a Gragnano si trovarono le condizioni ideali per essiccarla e conservarla. A Napoli sono considerati molto importanti anche i tempi di cottura della pasta, che deve essere ben "al dente", in particolare se deve essere successivamente mantecata in padella. Tra le varietà più diffuse vi sono, oltre a quelle più classiche, come spaghetti, linguine e bucatini, anche i formati tipici locali, come i paccheri e gli ziti, che tradizionalmente vengono spezzati a mano, prima di essere cotti e conditi con il ragù. Per la preparazione di pasta con i legumi viene usata anche la pasta mista (pasta ammescata), una volta venduta a prezzo più basso perché risultante dai rimasugli spezzati degli altri formati, ma oggi venduta come un formato a sé stante. Da non trascurare sono gli gnocchi, preparati con farina e patate. Vi sono anche formati meno tradizionali, ma oggi molto diffusi, tra i quali gli scialatielli.



Due piatti tipici della cucina napoletana sono la parmigiana di melanzane, preparata con fette di melanzane fritte e disposte a strati con salsa di pomodoro, fiordilatte e basilico e cotte al forno e il  gattò di patate, pasticcio di patate macinate mescolate con salumi e formaggi, cotto a forno. Interessante è che il gattò fu inventato in occasione delle nozze della regina Maria Carolina, figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone, nel 1768.


 

 
Tra i prodotti più tipici vanno ricordati i friarielli, la scarola liscia o riccia, diverse varietà di broccoli, la verza, le verdure da minestra e le puntarelle. Diffusissimi sono tutti i tipi di legumi. Le zucchine sono ampiamente utilizzate; le più grandi vanno preparate a scapece, fritte e condite con l'aceto e la menta. I fiori maschili delle zucchine vengono preparati fritti in pastella. I germogli raccolti dalle piante di zucchine in tarda estate, dopo la fase di produzione, vengono chiamati talli, e sono ingredienti di ottime zuppe oppure vanno soffritti in padella. Oltre ai normali peperoni di grosse dimensioni, rossi e gialli, tipici sono i peperoncini verdi dolci, che si preparano fritti. I carciofi più pregiati sono le cosiddette mammarelle, grandi, tondeggianti e con le estremità delle foglie violacee. Sono ideali per essere gustate semplicemente lesse con un pinzimonio di olio extravergine di oliva e sale.



Pesce
Tutto il pesce del Tirreno è abbondantemente presente nella cucina napoletana. Molto apprezzati sono anche i pesci meno pregiati e più economici, tra i quali soprattutto le alici ed il pesce azzurro in generale. Ottimo è il pesce per la zuppa: scorfani, tracine, cuocci, così come pesci di media e grande taglia, tra i quali spigole e orate. Molto diffusi sono anche i pesci di piccolissimo taglio: i cicenielli, novellame di pesce azzurro, piccolissimi e trasparenti, cotti lessi o fritti con la pastella che sono appunto una delle prelibatezze di mare della cucina napoletana.



Il pane

Scomparso oramai il pane "marsigliese", un pane delicato fatto con lievito di birra e di forma particolare (due panetti attaccati), il pane più utilizzato è il "pane cafone", cresciuto a lievitazione naturale, cotto a legna in diverse forme. Sono anche diffusi gli sfilatini, rimembranze delle baguette francesi, ma più corti e un po' più larghi, le rosette, piccoli panini tondi e infine la fresella, ovvero un biscotto di pane croccante tondo e sottile da condire con olio, olive, pomodori e altro.



Primi piatti

La varietà dei primi piatti nella cucina napoletana è molto vasta e comprende sia piatti molto semplici, come pasta al pomodoro e basilico o il semplicissimo aglio e uoglio (aglio e olio), fino a preparazioni elaborate, tra le quali il ragù che può richiedere, nella versione più tradizionale, cinque o sei ore di preparazione. I primi piatti si rifanno a più tradizioni complementari che spesso si mescolano e influenzano a vicenda: quella di una cucina poverissima, basata principalmente su ingredienti della terra, una cucina popolare tradizionale, ricca di frutti di mare e pesce, alimenti dal costo contenuto, vista la pescosità del mare di Napoli, e, infine, una cucina legata alla parte più agiata della città, costituita da carne di ogni genere, uova e latticini, in preparazioni talvolta elaborate.



Gli spaghetti aglio, olio e peperoncino sono una delle più semplici ricette napoletane.

La cucina più povera abbina spesso la pasta con i legumi. Popolarissime sono: pasta e fagioli (pasta e fasule), conditi con le cotiche, pasta e ceci, pasta e lenticchie, e pasta e piselli. In maniera analoga ai legumi sono preparate pasta e patate, pasta e cavolfiore, pasta e zucca. Il metodo di cottura della cucina più popolare consiste nel far cuocere prima i condimenti (ad esempio, soffriggere l'aglio nell'olio, quindi aggiungere i fagioli lessati, oppure soffriggere la cipolla ed il sedano ed aggiungere le patate tagliate a cubetti), quindi allungare con l'acqua, portare ad ebollizione, salare, ed aggiungere la pasta cruda. La pasta, cuocendo insieme ai condimenti, conserverà l'amido, che invece viene perso se la pasta viene cotta a parte e poi scolata. Questo procedimento rende il sugo della pasta più cremoso ("azzeccato"), ed è contrapposto ad una tradizione più "nobile" che preferisce preparare questi piatti in maniera più brodosa, aggiungendo alla fine la pasta cotta a parte. Per un primo piatto povero ma più nutriente, la pasta può essere semplicemente condita con uovo alla stracciatella e formaggio, la cosiddetta pasta caso e ova.



Un’altra ricetta tipica della cucina napoletana è la frittata di maccheroni che si può preparare anche con avanzi di pasta, sia in bianco che conditi col sugo di pomodoro. Si mescola la pasta cotta al dente con uovo battuto e formaggio. Può essere arricchita con svariati ingredienti. Alcune moderne riedizioni la vogliono farcita con ingriedienti quali prosciutto cotto, mozzarella o provola fresca. Tradizionalmente cotta in padella, c'è chi usa oggi cuocerla al forno per renderla meno grassa. Se ben preparata risulta compatta, e può essere anche tagliata a fette per essere consumata durante gite fuori porta o in spiaggia.Della frittata di maccheroni esiste anche una versione più piccola, chiamata appunto frittatina, preparata con besciamella, carne macinata, piselli e mozzarella e poi fritta in pastella.



La pizza Margherita

La pizza è forse il prodotto della cucina italiana più celebre nel mondo. Le sue radici sono antichissime, sicuramente risalenti almeno all'epoca romana, quando erano diffuse diverse focacce di grano, citate in alcune opere di Virgilio. Il nome, infatti, probabilmente deriva dal latino pins, participio passato del verbo pinsere, che significa schiacciare. La pizza vera e propria, ricoperta di salsa di pomodoro, risale a poco più di due secoli fa, e fu presto popolarissima sia presso i napoletani più poveri e che presso i nobili, compreso i re Borbone. Il successo della pizza conquistò anche i re piemontesi, tanto è vero che proprio alla regina Margherita di Savoia nel 1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito dedicò la "pizza Margherita" che rappresentava il nuovo vessillo tricolore con il bianco della mozzarella, il rosso del pomodoro ed il verde del basilico. Tuttavia, quella che oggi è chiamata pizza Margherita in realtà era già preparata prima della dedica alla regina Savoia. Francesco De Bouchard già nel 1866 ci riporta la descrizione dei principali tipi di pizza, ossia quelli che oggi prendono nome di marinara, margherita e calzone: “ Le pizze più ordinarie, dette coll'aglio e l'oglio, han per condimento l'olio, e sopra vi si sparge, oltre il sale, l'origano e spicchi d'aglio trinciati minutamente. Altre sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e allora vi si pone disopra qualche foglia di basilico. Alle prime spesso si aggiunge del pesce minuto; alle seconde delle sottili fette di muzzarella. Talora si fa uso di prosciutto affettato, di pomidoro, di arselle, ec. Talora ripiegando la pasta su se stessa se ne forma quel che chiamasi calzone. »( Francesco de Bourcard, Usi e costumi di Napoli, Vol. II, pag. 124).



Il casatiello, o tòrtano è il rustico tipico del periodo di Pasqua, consumato anche il giorno di pasquetta durante le gite fuori porta. Oggi i due nomi si usano spesso come sinonimi, ed indicano un rustico ricco di un'imbottitura di formaggi ed insaccati. Nelle versioni originali tòrtano e casatiello erano più semplici, quest'ultimo si distingueva dal primo perché caratterizzato dalla presenza di uova nell'impasto, mentre il primo era ripieno di cicoli:

« Nella sua prima semplicità popolare [il casatiello] non è altro che un pane di forma circolare, come un grosso ciambellone, in cui si conficcano delle uova, anche uno solo, secondo la dimensione del pane, e queste uova, con tutto il guscio, sono fermate al loro posto da due strisce di pasta in croce. La pasta è la solita pasta del pane, ma intriso con lardo e strutto. Cotto al forno, le uova vi divengono sode. »



Dolci
La tradizione culinaria napoletana annovera una grande varietà di dolci. Tra i dolci principali, sono da ricordare i seguenti:

La sfogliatella, frolla o riccia, ideata nel Settecento nel monastero di Santa Rosa situato nei pressi di Amalfi, il cui ripieno contiene una crema di ricotta, semolino, cannella, vaniglia e cedro e scorzette di arancia candite. Tra le varianti che si trovano oggi vi è la Santa Rosa, più grande e completata da crema ed amarene, la frolla perché fatta appunto con pasta frolla, e le code d'arargosta, ripiene di una pasta bignè e farcite con vari tipi di crema. Da ricordare inoltre la secolare battaglia tra i sostenitori della riccia e della frolla che da tempi ormai immemori si contendono il titolo di autentica sfogliatella.



Le zeppole di San Giuseppe, fritte o al forno, sono ciambelle ricoperte di crema e di amarene.

La pastiera, del periodo di Pasqua, è un dolce tipicamente realizzato a casa, più che in pasticceria. Tra gli ingredienti vi è il grano, che a Napoli viene venduto già lessato e pronto per l'uso. L'uso di questo ingrediente potrebbe essere legato ai culti della fecondità di epoca greco-romana. Gli struffoli natalizi, dolce tipico fatto da molte palline piccole e fritte, condite con miele. Questo dolce ha probabili origini greche.La torta caprese, a base di mandorle e cioccolato è tra i dolci preferiti per i pranzi e le cene che celebrano matrimoni ed altri eventi importanti.
 


Vini

La tradizione vinicola italiana annovera molti vini campani di qualità che si abbinano bene alla cucina locale. Tra i bianchi vi sono il Greco di Tufo, la Falanghina, il Fiano di Avellino, l'Asprinio di Aversa, mentre tra i rossi il Taurasi in primo luogo, nonché l'Aglianico, il Piedirosso o pere 'e palummo, il Solopaca, il Lacryma Christi del Vesuvio. Quest'ultimo si produce sia bianco che rosso. Tre vini campani hanno la denominazione DOCG, tutti prodotti nella provincia di Avellino: il Taurasi, rosso, anche nella versione riserva, il Fiano di Avellino, bianco,  e il Greco di Tufo, bianco, anche nella tipologia spumante



Infine una menzione speciale va fatta per il caffè napoletano. Al termine di un pranzo o di una cena non può mancare una tazzulella 'e cafè, che talvolta viene servito al tavolo del ristorante, ma più spesso si va a prendere al bar. Tra i caffè più celebri di Napoli vi è sicuramente lo storico Caffè Gambrinus, in piazza Trieste e Trento. Gran parte dei Napoletani ritiene che il caffè partenopeo sia unico e ineguagliabile per aroma e densità. Molte leggende metropolitane cercano di avvalorare quest'affermazione in base a vari motivi, che vanno dall'acqua del Serino, al tipo di miscela, alla calibrazione della macchina, o, più semplicemente, all'abilità dei baristi napoletani. Anche se ultimamente la moka ha ormai rimpiazzato la caffettiera napoletana in gran parte delle famiglie napoletane non si puó dimenticare la famosissima cuccumella e a questo proposito e’d’obbligo una citazione del napoletano per eccellenza Eduardo:
« Sul becco io ci metto questo "coppitello" di carta... il fumo denso del primo caffè che scorre, che è poi il più carico non si disperde. Come pure ... prima di colare l'acqua, che bisogna farla bollire per tre quattro minuti, per lo meno ... nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata ... in modo che, nel momento della colata, l'acqua in pieno calore già si aromatizza per conto suo ».(Eduardo nel film Questi fantasmi). ( Fonte Wikipedia)